Server educazione

Un elemento simbolico per l’educazione digitale: il server

Come possiamo aggregare i temi e le sfide del digitale per costruire percorsi davvero efficaci di cittadinanza digitale?

Da qualche anno ricerco un simbolo che possa essere il punto di partenza per una nuova prospettiva dell’educazione digitale.

Se hai letto la mia piccola biografia o il mio manifesto di intenti sai che sono molto legato al manifesto di Vienna ed all’idea che scienze tecniche ed umane debbano contaminarsi sempre più per rispondere alle sfide del digitale.

Proviamo ad osservare un server. Prima di procedere, però, ti invito a leggere l’articolo La sfida dell’educazione digitale.

Il primo server della rete

Il primo server Web della storia è stato inventato e utilizzato da Tim Berners-Lee e dal suo collega del CERN (Conseil Europèen pour la Recherche Nuclèaire) Robert Cailliaiu.

In tutto simile ad un pc desktop, il 6 agosto 1991, nel primo server web fu caricato e pubblicato il primo sito web della storia, se siete curiosi qui è ancora visitabile.

Vi chiedo di osservare bene la foto che segue, si tratta del server posizionato sulla scrivania di Berners-Lee in quei giorni.

Primo Server

Qualcosa vi colpisce? A me colpisce il post it con un’indicazione precisa:

“THIS MACHINE IS A SERVER, DO NOT POWER DOWN!”

Agli albori della rete, Berners-Lee deve lasciare queste indicazioni per evitare che i suoi colleghi, tutti eminenti scienziati, spengano il server e con esso la rete.

In questo modo, diciassette giorni dopo il primo utente della rete, dall’Inghilterra, accede al primo sito.

Racconto questa storia per mostrare quanto il server sia un elemento centrale della rete sin dall’inizio e per mettere in evidenza un’analogia.

Nessuno conosce il Server al CERN, nel 1991, nessuno sa che va tenuto accesso. Nessuno dei nostri ragazzi, o comunque troppo pochi, ha più di un’idea vaga dei server della rete.

Il server per l’educazione? Elementi

Ora, entriamo un po’ più in profondità ed osserviamo lo schema di base di funzionamento della rete: la relazione tra l’umano, il Client e Server (cliente-servitore).

All’interno di questo scambio richiesta-risultato si basa la nostra esperienza in rete, quale che sia il software (browser ad esempio) in grado di trasmettere una richiesta nel modo corretto (protocollo) per ricevere una risposta.

Questa relazione ci permette di evidenziare gli elementi del server che possono essere utili per l’educazione:

  • visibilità;
  • crossmedialità;
  • potere;

1. Il server: visibilità, trasparenza, opacità

L’intera azione del server mentre processa una richiesta è invisibile. L’utente osserva esclusivamente il risultato della sua azione, sullo schermo del browser ad esempio.

Sul tema dell’invisibilità nella/della rete trovo illuminante la descrizione di Elliot (2021) in La cultura dell’intelligenza artificiale:

l’invisibilità creata dalle tecnologie digitali è quella di un’infrastruttura protocollare che organizza e riorganizza un gran numero di differenti connettività, calcoli, autorizzazioni, registrazioni, tag, upload, download e trasmissioni che pervadono la vita di tutti i giorni. Codici, algoritmi e protocolli sono l’ambiente invisibile che facilita le nostre comunicazioni e le nostre condivisioni di dati personali mediante la gamma di device, app, tecnologie che monitorano, misurano e registrano i dati personali degli utenti.[1]

In questo mondo percorso da macchine e processi invisibili, il Server mantiene un ruolo centrale nelle trasmissioni, registrazioni, autorizzazioni, monitoraggi e misurazioni dell’utente.

2. Il server e la crossmedialità

Questo aspetto del server è, dal punto di vista educativo, di una potenza incredibile.

Nel rapporto client/server è solo il server a rimanere immutabile nel suo funzionamento e nel suo hardware mentre il Client, lo strumento attraverso il quale inviamo una richiesta, può essere un qualunque dispositivo, da uno smartphone ad un dispositivo di riconoscimento vocale.

Il server non è legato ad un dispositivo specifico né tanto meno ad un servizio della rete specifico: che io stia leggendo un quotidiano online, postando su di un social, compiendo un acquisto su un sito di e-commerce, osservando i miei profitti sull’app della mia banca, in ogni caso le mie azioni si stanno svolgendo in/tra server di rete.

Il Server è presente anche in quelle che Floridi ha definito tecnologie di terzo ordine [2] che si svolgono in un contesto in cui si manifesta “un’invisibilità funzionale”, in cui le tecnologie dialogano esclusivamente tra loro come nello scambio di informazioni tra sensori e server.

3. Server e potere

Nel nostro schema sembra che il “potere” all’interno del processo domanda/risposta sia dell’utente che, come nel nostro esempio della ricerca in rete, interroga la rete per ricevere una risposta.

Nella realtà è il server, o meglio, colui che lo possiede, colui che intima “do not push down”, a definirne il funzionamento in termini non solo tecnici, ma anche politico-manageriali.

Il server esprime un “potere” che si manifesta tra l’istruttoria della richiesta ricevuta e l’invio della risposta e che, in molti casi, influenza l’esperienza della persona nella rete attraverso la gestione della risposta alla sua richiesta.

In pratica, nella programmazione che il proprietario di un server assegna alla macchina troviamo già le tracce di quello che, nel 2000 Haggerty e Ericson definivano “assemblaggio sorvegliante” [3] operato attraverso la trasformazione di dati corporei, attraverso le scelte fatte dagli utenti in rete, in dati digitali

A questo punto è essenziale collegare le funzioni che svolge un server con l’espressione di questi elementi, in particolare il potere.

In questo modo, nel prossimo articolo, definiamo la caratteristica di aggregatore tematico educativo di un server. Lo trovi qui.

Note bibliografiche

  • [3] Elliot, A. (2019) La cultura dell’intelligenza artificiale. Codice Edizioni. Torino
  • [4] Floridi L. (2017) La quarta rivoluzione: come l’infosfera sta trasformando il mondo. Raffaello Cortina Editore, Milano
  • [5] Kevin D. Haggerty and Richard V. Ericson. The surveillant assemblage in British Journal of Sociology Vol. n. 51 Iussue n. 4 (December 2000) p 605-622 qui

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